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Enzo Famiglietti

Enzo Famiglietti

Nato a Napoli alla fine degli anni sessanta.Inizia la sua carriera giornalistica a metà degli anni novanta presso il quotidiano sportivo di breve durata Campania Sport e poi diventa redattore alla Verità di Napoli-Napoli più, dove si occupa delle pagine dedicate al Napoli ed anche dell'impaginazione delle altre sportive. Ma la sua passione resta il calcio. Negli anni successivi collabora, come redattore, al Corriere del Pallone e negli anni recenti a vari siti web Per sempre Napoli, 87 tv e successivamente ilcuoreazzurro.it

Se ne va o non se ne va. Da un paio di settimane Napoli sfoglia la margherita. Un petalo dopo l'altro ma la risposta non c'è. Ancora no. Eppure, non occorre interrogare il futuro attraverso i fondi di caffè o guardare le nuvole nottetempo come nella commedia del grande Eduardo per capire che le intenzioni di Luciano Spalletti, leggendario tecnico azzurro e demiurgo del terzo ed inatteso scudetto, lo allontanano di ora in ora sempre di più da quella maglia che gli ha donato prestigio e gloria.

Seconda gara da campioni d'Italia e prima trasferta scudettata per il Napoli. Un leggero velo di malinconia per quella febbrile attesa che ora non c'è più, adesso che il tricolore veleggia sulle bellezze del golfo e in città squillano meno trombe e quei suoni si sono assopiti, ma di certo non la gioia di una squadra, e per una squadra, che ha scolpito le proprie impronte nel wall of fame del calcio.

Si dice sempre che dopo una goliardica ubricata ci sia un fisiologico calo, un momento di stasi. Uno stato soporifero che fa parte della meraviglia del corpo umano. Ma si sappia che codesta analisi medica, in tal caso applicata al calcio non è mai una scienza esatta. Non trattasi del teorema di Pitagora, ma di mera previsione o concezione di uno stato. Difatti, il Napoli l'ha già sconfessata ed ha messo kappao una Fiorentina che, per contro, non si era sbronzata di goliardia da vittoria in settimana e che avrebbe dovuto preparare al meglio la partita.

L’attesa ha prolungato il piacere. Non è il sessuologo che parla ma la voce di una tifoseria, della storia, di un popolo e di una squadra che ha strabiliato tutti. Dopo 33 anni è ufficiale la vittoria del terzo scudetto di Napoli. Non solo del Napoli ma della città. Tricolore del Napoli e di Napoli.

Mancavano appena sei minuti. Sai quando ti senti a un passo dal traguardo e già alzi le mani al cielo, vedi gli avversari che ti rincorrono ma sono distanti. Molto distanti. Poi scivoli, cadi, ruzzoli per terra.  Non su una buccia di banana, ma un piede incespica nell'altro. Crolli su te stesso. E non ti rialzi. Vai giù sulle certezze che ti eri costruito. In quasi 90' di assalti serrati, di palle gol sprecate e vanificate anche dalla bravura di un portiere avversario che in più occasioni è stato tentacolare.

 

Nessuna paura. Un gesto tipicamente napoletano di rituale iettatura a chi pensava che non tornasse più. Che si fosse perso, smarrito nelle pieghe di una primavera storicamente ostica per le squadre di Spalletti.  Ed invece no. Il grande, fantastico Napoli che si era messo ai piedi tutta la serie A è saltato di nuovo fuori, in ritardo dall'uovo di Pasqua. E' ritornato il Napoli dei Napoli. Con una vittoria ottenuta in zona Cesarini a Torino, in quello Stadium che tranne una volta era sempre stato maledetto. E' tornata la squadra che se la lotta fino all'ultimo sospiro, che non molla mai. Che ci crede, la cui autostima è altissima. Il Napoli dall'ego quasi smisurato ha reagito alle critiche di una serie di prove un po' appannate e alla delusione dell'eliminazione dalla Champions. 

E' finita più o meno come in quel lontano 1988, con il Milan che fa festa e si gode la sbornia a Fuorigrotta ed il Napoli che esce dal campo a testa bassa. Una sberla che ricorda quella lontana e triste domenica che sancì l'addio allo scudetto. Stavolta, grazie al cielo il tricolore è fra le mani del Napoli, ma l'arrivederci ai sogni europei è assai doloroso perché la strada per Istanbul passava per il confronto con probabili due squadre italiane che in classifica stanno decine di punti dietro il gruppo Spalletti. Una chance perduta che forse la storia non ti regalerà più. Quello che ha impattato contro il Milan (1 a 1) ovviamente non è stata la migliore edizione del Napoli stagionale, peraltro ancora una volta falcidiato dai reiterati infortuni che riportano a distanza di un anno lo staff medico sul banco degli imputati.

 

L'agognata vittoria terapeutica a tre giorni dall'epocale sfida con il Milan non è stata centrata. Non ha pagato l'iperprudente e ragionato turn over di Spalletti, che ha tolto fantasia e brillantezza al suo Napoli. Dall'altra parte, si è erto un Verona molto concentrato, quasi commovente, che non ha accusato una sola sbavatura difensiva ed ha addirittura sfiorato il clamoroso colpo da tre punti. Anche il forcing finale del gruppo Spalletti con le prime donne gettate con disperazione nella mischia ha prodotto troppo poco, appena una clamorosa traversa. Il Napoli è stato troppo inoffensivo, Montipò ha toccato palla di rado. Ed ora incombono due partite da brividi per un gruppo che è lontano dalla forma migliore. Se ci sia o meno da preoccuparsi questo è ora il il dilemma amletico. 

Se nel calcio esiste la fortuna, ed è una componente fondamentale di ogni partita a volte finanche beffarda, in questo Milan-Napoli quarto di Champions, la buona sorte è stata tutta colorata di rossonero. Al Napoli non poteva andar peggio di quanto sia andata, al di là di qualche errore singolo o collettivo. Certo, il risultato finale 1-0 è del tutto recuperabile. Ma i conti con la mala sorte sono strazianti. Senza di essi sarebbe stata tutta un'altra storia. Statene certi. 

Innanzitutto si parte da lontano....

Il diabolico Freddy Krueger di Nightmare non è tornato a terrorizzare i cuori azzurri dopo la notte di paura totale col Milan....

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