E' stato un finale alla Agatha Christie, da brivido sino al triplice fischio finale della ultima esibizione, manco fossimo sul set di Dodici piccoli Indiani, dove non doveva rimanere in vita più nessuno dei protagonisti ma alla fine è sopravvissuto il Napoli, ed è un Napoli vincente. Primo con merito in un campionato di sali (spesso) e scendi (qualche volta), che non hai mai visto una squadra dominante ed imperiosa, molto livellato verso il basso, nel quale gli azzurri di Conte sono stati quasi sempre in vetta, tallonati solo da un Inter ondivaga e spesso stremata dalle Coppe. Alla fine l'hanno spuntata per uno solo punto, in conseguenza del successo nerazzurro a Como.
E' il secondo scudetto in tre anni. Alla faccia della non programmazione di De Laurentiis che forse è una pecca societaria, ma se riflettiamo ogni critica va al momento frenata, almeno per questi imminenti giorni. Napoli che cambia allenatore e sceglie il migliore, vince con la miglior difesa del campionato, senza spendere soldi a gennaio, e con i bilanci in verde e i conti belli ricchi, laddove le concorrenti sono indebitate sino all'osso.
Un tricolore diverso rispetto a quello di Spalletti, vinto con largo anticipo e con un gioco stellare, che rasentava la perfezione pura, una regale fuga solitaria. Quest'ultimo invece è stato tirato, sofferto, spasimato, agognato, come un innamorato che deve svenarsi per rubare il cuore alla propria innamorata, per poi brindare insieme. E ripercorrere quei magnifici momenti.
Si temeva, dopo due insulsi pareggi, più per scaramanzia che per reale pericolo tecnico, la sfida col Cagliari, ma dopo una mezzora e più di sofferenza sono arrivate due reti di rara bellezza, di Mc Tominay e di un super Lukaku, forse alla sua migliore recita annuale.
Ma il grande merito su tutti è del fenomenale lavoro di Antonio Conte che per la terza volta in carriera vince uno scudetto al primo anno in una nuova squadra. Mille elogi e peana per il saggio ed inimitabile condottiero della trionfale cavalcata. Chapeau e speriamo non andrà via.
La partita, qualche timore ma poi si vola- Subitaneo assalto del Napoli, carica a testa bassa. Il primo squillo è di Raspadori che sfiora il palo con una rasoiata malefica. Poi tocca a Gilmour e Politano sprecare stavolta per errori di mira, forse ansia. Il forcing è feroce. Intanto, arrivano brutte da Como, l'Inter è in vantaggio. Lukaku murato da Mina. Guasto nella comunicazione arbitro-Var, poteva esserci un rosso per un cagliaritano per un ceffone a Raspadori. Poi tocca a Spinazzola far cilecca a porta vuota. Aleggia sfiga.
Ci vuole una genialata per un sogno. Ed arriva su cross di Politano e mezza girata al volo, acrobazia da contorsionista, di Mc Tominay. E lo scudetto ora da Como rotola giù sul Maradona. Uno a zero. E' bolgia ovunque. Si va al riposo di risicato vantaggio, ma con un gol destinato ad entrare nella storia. E con una certezza sulla quale prendere le misure, il Cagliari non regala nulla, non ha attraversato il Mediterraneo per onor di firma. Il gruppo Nicola si difende con veemenza e se ha l'occasione prova a ripartire.
Difatti, ad inizio ripresa i sardi provano ad alzare un pochino il baricentro. Ma incassano il colpo del ko. Lukaku lanciatissimo in contropiede si destreggia al meglio fra due difensori e segna alla vecchia maniera, con un volata di velocità, tecnica e potenza, quasi fosse tornato indietro di un lustro, come i gol che segnava una volta.
Entra Neres e sfiora il terzo. Il dodicesimo del Cagliari, Sherri, non è certo uno sprovveduto, ma un intrepido portierone. Poi i minuti scivolano via mentre in panchina, in città ed in molti posto nel mondo già si stappavano le bollicine per il cin cin scudetto.
I meriti di Antonio Conte- E’ lui il grande protagonista del quarto scudetto. Lui il demiurgo, la mente e lo stratega dell’impresa.
Meno di un anno fa ha raccolto le macerie di un Napoli spento e devastato, con il morale sotto i tacchetti. Grazie anche ai nuovi innesti ha saputo ridare smalto, vigore, autostima, determinazione ad un gruppo spaesato. Puntellato da alcuni nuovi arrivi di qualità (Mc Tominay su tutti ed anche Buongiorno, quest’ultimo però spesso assente per infortuni), ma indebolito da partenze eccellenti (Osimhen in estate e Kvara a gennaio).
Il suo Napoli ha volato fino a fine inverno, poi la tradizione che vede le squadre di Conte fare il grande balzo in avanti in primavera non è stata stavolta rispettata. Molte rimonte subite (i due pari all’Olimpico in zona Cesarini, la gara in casa con l’Udinese) e ghiotte occasione gettate al vento (le scialbe prove di Como e Venezia, i due pari scoraggianti con Genoa e Parma nelle ultime giornate). Il suo Napoli ha faticato troppo negli ultimi mesi, complici i reiterati infortuni che lo hanno private di molte prime donne. Molti di questi acciacchi hanno visto sul banco degli imputato proprio il tecnico leccese per i suoi carichi di lavoro, ma alla fine i pochi superstiti sono riusciti a tirare la carretta con i denti ed a tagliare il traguardo col fiatone.
Antonio Conte si conferma il maestro supremo del nostro calcio nell’arte di allenare i cervelli dei calciatori, nonostante con i patemi finale si sia avuta l’impressione che qualche colpo lo abbia perso anch’egli. Resta in ogni caso il principale attore di questo quarto scudetto. Meritevole di un Oscar, vittoria immacolata e meritata al primo anno in azzurro. Perdonatagli qualche pecca-chi non sbaglia mai nel calcio- ha dovuto fronteggiare vari ostacoli, fra infortuni e un mercato flop di gennaio, gli è doveroso un inchino ed un Grazie Antonio gridato a furor di popolo. Speriamo che la sua avventura a Napoli non finisca qui.
I meriti della squadra- Tutti ci hanno creduto dal primo giorno, ognuno ha cercato di dare il massimo, anche se non sempre le performance individuali e collettive sono state all’altezza. Teorema qualità: mai come quest’anno il livello della serie A è stato livellato verso il basso, e forse mai squadra così poco esilarante vinse il titolo negli ultimi 30 anni. Ma tant’è. Inchiniamoci alla capolista!
Il grande merito del gruppo è stato al di là dell’aspetto tecnico-tattico la compattezza. Bravi ragazzi, uniti, solidali l’uno con l’altro, a tirar dritto, senza gelosie, attriti, clan, al bando rancori e gelosie. Ha trionfato uno spogliatoio bello e solido, portatore di valori, educato e dallo stile di vita prudente e corretto, nessuno mai beccato a tirar tardi con una sbronza per amica. A cementificare il Napoli, fino alla conquista del quarto tricolore, è stato come detto Sir Antonio Conte da Lecce. Lui è sì stato un sergente di ferro, ma sempre umano con i suoi uomini, bastone e carota, allenamenti intensi ma anche un canale di ascolto, sempre disponibile con tutti, anche grazie al lavoro oscuro dell’impareggiabile team manager.
Lele Oriali, una vita da mediano- “A recuperar palloni”, “Lavorare sui polmoni… Con dei compiti precisi”. Così cantava del team manager azzurro, campione del mondo, Luciano Ligabue nella sua poetica opera canora. Oriali era la figura che mancava da anni al Napoli. L’uomo di campo, con una lunga e gloriosa esperienza alle spalle, con carisma e carattere granitico, che potesse supportare l’allenatore nel proprio lavoro, stare accanto alla squadra ed aiutarla nei momenti critici, ed adoperarsi anche da trade union fra calciatori e società. Negli anni passati in questo ruolo si erano avvicendate figure di secondo piano, se non addirittura l’imberbe ed inesperto figlio del presidente. Se nello spogliatoio si è respirata per tutta la stagione un’aria salubre e di mutuo soccorso e coesione, grandi meriti vanno anche a Lele, che ha svolto un lavoro oscuro, lontano dai riflettori ma di una valenza unica. Era l’uomo che serviva al posto giusto nel momento giusto. Se purtroppo Conte dovesse lasciare Napoli che la società faccia due grandi sforzi, e non uno, per trattenere almeno Oriali, che ha già mormorato a bassa voce come suo solito che non seguirebbe Conte in un eventuale ritorno alla Juve.
Manna, un diesse fra luci ed ombre- Il giovane direttore sportivo va rivisto per essere giudicato un autentico punto di forza del Napoli. In estate gli sono riusciti due colpi importanti, Buongiorno e Mc Tominay, lunghissimo il tormentone invece per portare a Castelvolturno Lukaku, ingaggiato solo a Ferragosto ed in palese ritardo di condizione. Assai deludente il mercato di gennaio, soprattutto se fossero confermate le voci che davano un De Laurentiis disposto a far sacrifici, ma Manna incapace di concludere trattative appaganti. L’ingaggio di Okafor e la non sostituzione di Kvara sono un piccolo peso che si porta sulla coscienza, benchè poi ininfluente per la vittoria finale. Da ora in avanti ci si aspetta di più dal suo operato, anche che vada a scovare talenti a costi accessibili, giovani di prospettiva, oltrechè i nomi da prima pagina.
Aurelio De Laurentiis, più bravo o più fortunato- Al di là delle contestazioni e della decennale ostilità di una parte della tifoseria, i numeri e i trofei vinti gli danno ragione. Secondo scudetto in appena tre anni, (neppure al Napoli di Ferlaino e Maradona era riuscito), senza dimenticare le Coppe nazionali vinte in passato con la sua padronanza. Poi restano immacolate le considerazioni sui suoi limiti gestionali. Glielo ha detto a chiare lettere, in varie interviste anche Conte.
E proprio per il modus operandi del patron, l’allenatore potrebbe scegliere di lasciar Napoli anzitempo. La mancanza di un progetto concreto per le infrastrutture, le carenze gravi nel settore giovanili ed altro impediscono ad Adl ed al Napoli quell’ultimo salto di qualità per restare sempre a certi livelli e magari pensare in grande anche in Europa. Ma ora col tricolore in tasca ne vanno enarrati anche i meriti. E’ stato lui a voler ingaggiare Conte a tutti i costi, ad assecondarlo nel ricco contratto per tecnico e staff. De Laurentiis gli ha dato mano libera sul mercato estivo e non ha battuto ciglio dinanzi all’ostinata scelta di ingaggiare Romelu Lukaku, un puntero un po’ in declino, avanti con gli anni e fuori forma, garantendogli peraltro uno stipendio faraonico di sei milioni netti all’anno. Una minusvalenza, in contrasto con le logiche di mercato degli anni passati.
Poi Adl ha avuto anche la bravura e la lungimiranza, furbizia e malizia forse sono termini più adatti, di nascondersi sotto le coperte per tutta la stagione, parlando col contagocce, senza mai invadere il lavoro dell’allenatore e della squadra ed addirittura concedendosi una discussa e strampalata, quasi neroniana, vacanza alle Maldive nella fase più delicata dell’anno.
Accusato di inoperosità sul mercato di gennaio (semprechè non siano vere le indiscrezioni sopracitate a proposito del lavoro del diesse Manna), alla fine gli è andata di lusso. A gennaio si è tenuto stretto il portafogli ed è arrivato primo. Certo, il presidente è stato spesso baciato dalla buone sorte, anche se l’audacia non gli è mancata. Ora la festa, domani dinanzi ai posteri dovrà rivelare le sue nuove e prospettiche intenzioni.
E un ringraziamento speciale a...- Pedro Eliezer Rodríguez Ledesma, meglio noto come Pedro, centrocampista offensivo della Lazio, classe 1987. A 37 anni suonati è ancora l'uomo dei gol pesanti. Due suoi sigilli hanno permesso alla squadra biancoceleste di fermare l'Inter il 18 maggio al Meazza. Salvifico, e decisivo, per orientare la lotta scudetto a vantaggio degli azzurri è stata la trasformazione di un discusso (ma giustissimo) calcio di rigore al 90esimo passato. Da allora è diventato un idolo della tifoseria napoletana che gli ha dedicato anche un altarino nella piazzetta del Pibe sui Quartieri Spagnoli. Cert'è che senza quel rigore calciato basso, forte ed angolato alla destra di Sommer, oggi e nei giorni a venire non sarebbe qui la festa.
(Foto fonte Corriere della Sera).