Altrimenti sai che rogna il prossimo anno, con noi a cantare "I campioni dell'Italia siamo noi" e loro "Quelli dell'Europa invece noi". Evitata ogni forma di subdola ma realistica gelosia, solo i napoletani se la spassano in questo giugno metereologicamente instabile, ma con una certezza assoluta dai campi di calcio. Si ride e si fa festa solo noi nel Golfo, gli altri si leccano le ferite oggi e vivranno di rimpianti domani. La festa è solo qui e in nessuna altra città italiana. Per carità nessuno spirito antinazionalistico, ma solo l'interpretazione degli uomori della stragrande maggioranza dei gioiosi fans azzurri. Per la maggior parte schierati contro la rivali di sempre italiane. Il calcio è anche questo, tifare per i nostri e gufare gli altri. Quelli con i quali si è in sportiva concorrenza da sempre. Precisiamo, sportiva concorrenza. Nulla a che vedere con l'antagonismo esacerbato di un certo banditismo ultras. Poi è lecito chiedersi: ma se in finale ci fosse andato il Napoli, la percentuale più alta degli interisti per chi avrebbe fatto il tifo.
Il guardiolismo atto secondo al di là della Manica, tanto bello a vedersi e che ha fatto mirabilie in patria, all'estero non aveva ancora portato a casa la Coppa dalle grandi Orecchie, e ci è finalmente riuscito dopo 95' molto equilibrati , in barba ai pronostici che la davano strafavoritissima e con un Inter invece che pareva destinata al ruolo di vittima sacrificale. Eppure in campo, gli indomabili inglesi sono stati contratti, ingessati e meno brillanti del solito. E' mancato il loro tradizionale forcing, hanno forse accusato il peso delle forti pressioni. Mentre l'Inter che partiva svantaggiata, si è presentata nella città più popolosa d'Europa con una faccia tosta ammirevole e con il vantaggio che tutti la davano destinata alla sconfitta. E quindi se l'è disputata a testa meno appesantita da stress e preoccupazioni.
Però, però. Abbiamo assistito senza dubbio alcuno ad una edizione della Champions League anomala. Bizzarra come non mai. Sarà stato l'effetto Mondiali e campionati divisi in due come una mela, nessuno potrà dirlo ma qualcosa di strampalato è accaduto. A cominciare dai sorteggi per i quarti. Accoppiate matte, se lo si rifà 1000 volte non ti ricapitano i due tanto squilibrati raggruppamenti, con le corazzate e prestigiose grandi dame del calcio europeo tutte da una parte e le tre sfavorite italiane e il Benfica dall'altra. Le palline magiche di Lyon a volte la combinan grossa. Stavolta però siamo andati oltre. I malpensanti sussurrano a bassa voce che se si vuole orientare un sorteggio le si riscalda, ma non vogliamo ai credere a tanta malafede a violentare il gioco più bello del mondo. Peraltro, chi mai avrebbe avuto mai interesse che le favorite si spolpassero fra di loro in anticipo e una squadra meno accreditata arrivasse in finale. Magari per una sfida troppo sbilanciata e quindi meno spettacolare. MIsteri del calcio e della fortuna.
Infatti, quest'Inter forse forse non se la meritava di andare in finale. Dopo l'impresa nella fase a gironi dell'eliminazione del forte Barca, i morbidi e fortunosi sorteggi hanno spianato la strada per Istanbul al gruppo Inzaghi. Prima il non trascendentale Porto, poi il depotenziato Benfica (a gennaio aveva venduto il suo giocatore più talentuoso) ed infine il Milan, proprio lo scostante Milano, in semifinale. Non per far polemica ma una corsa senza ostacoli di grande valore non si era mai vista in Champions.
Cert'è che il Napoli ha rammarico per il suo cammino europeo. Sarebbe bastato sconfiggere le due milanesi, dimostratesi molto meno forti in campionato, per ritrovarsi sotto gli occhi del sultano Erdogan, al cospetto della Sublime Porta. Peccato, ma gli azzurri sono arrivati ai quarti non nella migliore forma, poi defezioni e squalifiche, per non dimenticare un doppio arbitraggio quantomani discutibile. Sarà per un futuro senza tempo risognare la grande coppa, intanto qui si fa festa e lassù fra Madonnina e Colosseo solo volti tristi e tanto dispiacere. Anche perché perdere come han perso loro cioé giocando bene fa ancora più male.
La finale di Campions quest'anno non è stata bella ma emozionante di sicuro. Il razzente avvio di gara, rituale fisso del gruppo Guardiola non c'è stato. Lenta la manovra del City, poco ispirata, merito anche di un'attenta Inter, che faceva massa corporea col suo abbondante centrocampo. Primo tempo a reti inviolate e una noia soporifera nel taccuino.
Ripresa più vivace con diverse situazioni sconsigliate ai deboli di cuore: in avvio sporadiche occasioni da gol dilatavano la fase rem degli astanti. Finché in un'azione da manuale in pieno City style, Rodrigo non trovava l'angolino giusto e il gruppo Guardiola si portava avanti. Ma l'Inter reagiva con prontezza, veemenza e coraggio. Sfiorava il pareggio e la malasorte ci metteva due zampini. Tre palle gol clamorose, vanificate da un Lukaku insolitamente pasticcione, proprio lui che negli ultimi tempi era ritornato implacabile, e da un portiere avversario dai riflessi di gatto patentato.
Alla fine il City ha sollevato la sua prima Champions della storia, dopo parecchie delusioni internazionali e carrellate di dollari ed euro spesi dal suo tutt'altro che parsimonioso patron.
Una considerazione sulle tre italiane finaliste nelle Coppe: nessuna è stata umiliata nel gioco e nel risultato. Sono state sì sconfitte ma ne sono uscite fra i più meritati applausi e tutte e tre testa alta. La Roma s'è arresa solo ai rigori, la Fiorentina l'ha persa sul filo di lana, l'Inter è sempre stata in partita, poi sprecona e iellata in un finale rocambolesco.
Epitaffio sulla stagione napoletanissima: si diceva un tempo a Novantesimo minuto Milano chiama e Napoli risponde. Quest'anno nessuno in Italia, su ogni fronte, ha saputo replicare all'impresa dei ragazzi di Spalletti. Stasera Napoli gozzoviglia ancora mentre Milano è ammutolita.
(Foto fonte Inter news 24)