Come in un sogno di mezza estate. Di un’estate precoce, aprilina. O che sia stato un pesce d’aprile.
Cert’è che il Napoli è riapparso a Monza in pompa magna, su un carro celestiale, quella decina di ex eroi, ex Dei del calcio, che poco meno di un anno fa tutti volevano facessero il fatidico giro poi annullato su bus scoperto per le strade, sono per un pomeriggio ritornati divini, il giro se lo sono fatto. Nei meandri oscuri del gioco de calcio e della psiche umana e sportiva.
La vittoria per 4 a 2 sul Monza è un qualcosa degno di passare alla storia. Non solo per la superiorità e le bellissime giocate ammirate in campo, ma per la trasformazione da rospi in re avvenuto fra il primo ed il secondo tempo. Potremmo usare pure il termine mutazione genetica, se non fosse che il Dna di questi ragazzi è lo stesso, degli asinelli dei mesi scorsi e dei supercampioni della passata stagione. Ed allora. Cosa sia successo, cosa sia scattato nella mente degli azzurri in 15’ di intervallo è e resterà un mistero.
Però forse per la prima vera volta in stagione gli spettatori hanno potuto sognare vedendo giocare una squadra degna di portare lo scudetto sulla maglia.
Nonostante i tre allenatori che si sono avvicendati al capezzale di un malato ormai cronico, di partite decenti da agosto ad inizio aprile, prima di Monza, il Napoli ne aveva disputate appena due: il grande exploit di Bergamo con Mazzarri e la serata d’orgoglio del successo sulla Juve, favorita però da una collezione di errori dei bianconeri sotto porta. Rispetto a queste due però gli azzurri in terra brianzola sono stati queli dello scudetto.
Come eravamo- Sino a Monza, erano stati una tragedia greca applicata al calcio. Un salto di millenni ma che rende l’idea. Azzurri privi di concetti calcistici e soluzioni, incapaci di imbastire gioco e di aprire varchi, fragili in difesa. Non era il singolo ad essersi eclissato nè la coppia di reparto a vacillare, ma il gruppo, o il concetto di tale, che non esistevano più. Da mesi ormai il Napoli non era più squadra, ma solo un’entità amorfa, per lo più ectoplasmatica ridotta all’impotenza. Stremata e con le batterie scariche, le motivazioni che parevano esser scomparse per oscuri motivi. Sotto la maglia nulla, solo mediocrità e pochezze divenute ormai emblematiche, appiccicate alla gloriosa maglia azzurra, calpestata nella polvere. Poi all’U-Power Stadium sono tornati i giganti, quelli mitologici. Il Napoli dello scudetto è stato quello di oggi, troppo brutto prima per esser vero e troppo brillante ora per credere che sia tutto risolto? Il calendario può dare una mano, sino a un certo punto.
A Monza una prova epica- Il Napoli non ci mette molto ad andar sotto, il momento è quello che è e la difesa peggio pure. Il massimo della beffa è che il cross traditore prende forma dai piedini dell’ex Zerbin e la testa che lo intercetta non è, come da abitudine, quella dell’ormai assopito Juan Jesus ma quella del baldanzoso Duric. Si è subito costretti a rimontare, pungolati dalla rognosa e lecita contestazione della tifoseria al seguito.
Di quelle annate dove non ne gira bene una: Ngonge viene falciato in area, tutto corpo e niente palla, ma il Var non si sa come s’impunta non sia rigore. Stavolta si è ai limiti dello scandalo. Ma quando il diavolo ci mette corna ed artigli. Succede anche questo. Le ragioni sono note: De Laurentiis è inviso al palazzo, e per le sue prese di posizione da rivoluzionario di borgata e per l’ostinazione a di non liberare Spalletti per la panchina della Nazionale.
Intervallo sullo 0 a 1, accompagnati negli spogliatoi dai rituali cori di scherno di un popolo dapprima illuso poi esasperato.
Ripresa. Accade il miracolo. Ancora Ngonge, il più vivace di una squadra di scapoli ed ammogliati, dà la scossa e segna ma purtroppo in fuorigioco. Illusion illusionetta.? Macchè piuttosto annunciazione di una riscossa da brividi. Mentre il volo agile e plastico di Osimhen pareggia con un gesto atletico da superdotato. Si rivede Os, magari nel futuro ci fosse ancor lui! E’ poi Politano a far 2 a 1, dopo appena due minuti, con un tiro al volo da museo del calcio. Un gol fantasmagorico. Ed il Napoli s’è destato in un battito di ciglia. E non è finita. Mancava all’appello dal 3 ottobre scorso Zielinski, che torna al gol anch’egli con una conclusione degna del campione che è, al di là delle storie de laurentina su nebbie e sole.
Ma la gioia di avere la partita in pugno dura pochi secondi perché Colpani, anch’egli con una calciata da genio accorcia subito e ci si assesta sul 2 a 3. Partita spettacolare. Sembra un fantacalcio, entra Raspadori e fa 4 a 2 su ribattuta di di Gregorio.
Finisce con un idillio, dopo l’iniziale contestazione tutti si brinda come alla più grande delle vittorie. Per un pomeriggio, afoso ed assolato, anche i tifosi si sono sentiti di nuovo Campioni di’Italia.
L’Europa non è un sogno, si guardi alle prossime- Frosinone ed Empoli i prossimi due impegni, due pericolanti. I ciociari giocano un calcio onorevole e dignitoso, ma fanno una fatica orbi a vincerne una e sono molto vulnerabili. L’Empoli dopo una grande riscossa ha frenato per poi battere in zona Cesarini i Toro, comunque due avversarie alla portata. E il 28 aprile ci sarà Napoli-Roma al Maradona. Se si inanelasse una bella striscia di vittorie si rientrerebbe in corsa, forse, anche per la Champions, soprattutto se dovesse piovere sul calcio italiano un quinti posto. E’ questo per il gruppo Calzona il momento della svolta. Può esserlo.
La grande preoccupazione, quella difesa perforabile- E’ il vero, il grande punto debole del gruppo Calzona. Che non è riuscito a sistemare la tenuta della retroguardia, perché il materiale umano di cui dispone è molto modesto. Fra Atalanta e Monza, cinque gol subìti sono una tregenda. Troppi. Là dietro ci vorrebbe una sistemata. Ma con chi? Se il tecnico è costretto a schierare Juan Jesus, che in ogni partita ha sulla coscienza almeno una rete avversaria, la risposta è chiara: non ci sono alternative. Calzona non sarà un genio ma conosce i giocatori. Li sta ora studiando bene ed ogni giorno. Per ignorare del tutto Natan, il brasiliano è valutato come inaffidabile al cento per cento. E la scelta di Juan Jesus è un disperato ripiego in una rosa monca ed incompleta.