Venerdì, 16 Giugno 2017 02:34

L’orgoglio di essere “Miserabili”

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In un mondo in cui l’occhio non è più abituato al bello ma all’utile riecheggiano ancora le parole di Gianluigi Buffon riguardo i caroselli di gente felice per la sconfitta della Juve nella finale di Champions League: «Chi gode delle sconfitte altrui fa capire quanto miserabile possa essere l'uomo. E io sono orgoglioso di non fare parte di questa schiera».

Tralasciamo di narrare episodi storici relativi al rapporto che fu tra Savoia e Borbone, sarebbe troppo per il portiere bianconero, come anche il “furto” di sogni, passioni e quant’altro perpetrato nei confronti dei tifosi e dei calciatori italiani documentato ampiamente dalle indagini della Procura di Torino, delle inchieste di Guariniello e dalle sentenze di Sandulli, Ruperto et al., per soffermarci sulla narrazione che Victor Hugo fa della categoria chiamata appunto “I Miserabili” titolo dell’opera in quarantotto libri pubblicata nel 1862; l’opera si sofferma sui poveri e sugli sconfitti che, pur essendo alla base della Rivoluzione Francese del 1789, furono schiacciati da una ristretta élite di persone che ne usurparono ideali e bisogni, per instaurare un clima di dittatura e restaurazione. Ecco che la delusione sociale portò numerosi cittadini ad una serie di cadute e di risalite, di peccati e di redenzione. Hugo racconta a 360° i suoi personaggi e aggiunge al racconto capitoli di grande rilevanza storica che permettono al lettore di collocare i personaggi in un determinato contesto storico-sociale.

L’opera parte da un atto di carità del Vescovo di Digne, il Monsignor Charles-François-Bienvenu Myriel, consideratoun giusto per via della sua rettitudine e del suo interesse per i poveri, per questo non è ben accetto dagli altri porporati. Costui riesce a redimere Jean Valjean, un uomo che aveva avuto una vita difficile, cambiata dopo un furto ai danni del Vescovo, dove viene salvato dai gendarmi proprio da quest’ultimo; Valjean apre così una fabbrica e riesce a salvare a sua volta la prostituta Fantine, successivamente viene imprigionato per salvare la vita ad un ladro che si spacciava per lui, torna libero, riesce a salvare Cosette, figlia di Fantine per poi dopo una serie di peripezie, farle sposare Marius.

L’opera ci lascia un insegnamento: seppur pieni di difetti e di opere cattive, “i Miserabili” riescono a redimersi e compiono atti di estremo altruismo e di estrema bellezza, proprio distante da quella “lezione” che Boniperti lasciò negli uffici dirigenziali bianconeri: “Vincere nonè importante: è la solacosa che conti”, no Buffon, no Boniperti, non è importante la vittoria se ciò significa doping, non è importante la vittoria se ciò dovesse significare calpestare con sotterfugi i diritti e le aspirazioni alla vittoria altrui; ma soprattutto, stringetevi alle opere di chi, pur “miserabile”, riesce a far assaporare il bello a chi è più “miserabile” di loro; non inseguite la teoria dell’ “utile” ad ogni costo, non “utilizzate” i sogni di giustizia e di pari opportunità dei Masaniello di turno per affermare la vostra supremazia.

Anche Papa Francesco ce lo dice nel suo stemma: “Miserando atque eligendo”, è Gesù che parla del pubblicano ed esattore delle tasse Matteo (che poi diventerà Santo ed Evangelista), il quale era, per le usanze e l’opinione pubblica ebraica, un “impuro”, ma Gesù scelse lui e non un sommo sacerdote per divulgare il suo Verbo.

Se miserabile significa prendersi un momento la rivincita su chi ti sfrutta e chi cerca dai rapporti umani l’utile e non il bello, siamo tutti “Miserabili

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