Da Oscar. Il cammino in Champions è qualcosa che eccita anche gli animi più pacati: quattro gol al Liverpool, sei in casa dell’Aiax. Troppo schiaccianti le vittorie Europee per non gridare di giubilo, sia per il gioco espresso e la netta superiorità su avversari di gran rispetto, sia per la quantità di reti e l’assoluto predominio.
La magica serata di Amsterdam ci consegna una squadra di un altro pianeta. Di livello altissimo. Seppur privo della stella Osimhen (che a questo punto non è esagerato pensare che dovrà conquistarsi il posto da titolare, ndr) l’attacco è stato devastante. Raspadori è ormai goleador consacrato, Kvara un iradiddio, gli inserimenti da dietro micidiali: esempio ne è il gol di Di Lorenzo, una grande bellezza. Altro che quei filmetti di Natale, il Napoli di quest’anno è in stile hollywoodiano. Con l’ovvio augurio che duri così forte nei mesi a venire, periodo davvero inedito per la storia del calcio con la sosta per i mondiali invernali.
Quello che maggiormente impressiona degli azzurri è anche un totale reset nella mentalità. Superate le paure e le insicurezze del passato, il Napoli odierno è squadra di grande forza emotiva e personalità. E’ cresciuta l’autostima. Emerge la consapevolezza di potersela giocare alla pari con tutti, di essere i più bravi.
Il grande salto di qualità rispetto all’anno scorso ha diverse radici. In primis, il mercato. Partiti pilastri storici come Insigne, Mertens e Koulibaly si sono trasferiti altrove. Addii dolorosi. C’era dapprima diffidenza verso i nuovi acquisti. Si diceva che Kvara fosse molto dotato, ma chi si sarebbe mai aspettato di già un fuoriclasse e non solo un predestinato o appena il classico giovane di belle speranze. E Kim. Coreano che giocava in Turchia. Mah, chi sarebbe costui. Un tamagotchi in apparenza più che un centrale affidabile, uno che neppure al più ottimista degli ottimisti poteva sfiorargli l’idea di non far rimpiangere il mito di Koulibaly. Eppure oggi Kim là dietro è impeccabile. Non ne sbaglia una. Sicurezza al top.
Per non parlare di Raspadori, preannunciatosi di interesse ma tramutato in uomo gol che ti fa girar la testa. Ndombele è in fase di crescita in condizione ed adattamento. Mentre sono migliorati a dismisura Anguissa e Lobotka.
I nuovi acquisti stupiscono. Sono molto al di là di ogni rosea speranza. Loro hanno portato un nuovo vento di ambizione, rispetto a qualche grande campione sul viale del tramonto o un po’ appagato e stanco. Hanno fame di vittorie, vogliono mettersi in mostra. E ci sono già riusciti.
Punto su Spalletti. E’ doveroso attribuirgli grandi meriti. Se nel finale di stagione passata, il tecnico toscano si era guadagnato più di una critica per alcune scelte tecniche e per la gestione del gruppo, stavolta la sua impronta è lapidaria. Ottima. Spalletti in questa prima fase, rispetto a molti suoi predecessori, è stato capace di dare una vera anima alla squadra. Di edificare un gruppo solido e cementificarne il modo di pensare. Di scendere in campo. Tutti carichi a mille. Pronti a far un solo boccone anche di avversari importanti. Il Napoli è finalmente consapevole della propria forza. Si è riscoperto con la testa della grande squadra. In questo c’è la mano del suo allenatore. Ovviamente, il giudizio definitivo su Spalletti dovrà aspettare il final di stagione. Quando sarà chiamato ad alzare un trofeo, per eguagliare gli ex che ne hanno vinto almeno uno.
Resta il dilemma dell’ambiente societario che è l’insidia maggiore. E dello staff medico che negli ultimi due anni è stato corresponsabile di un poco piacevole primato di acciacchi muscolari. Al momento il presidente si sente poco (meglio) ed è entusiasta. Tutto un mistero la sua eventuale reazione ad un’ inauspicata, ma possibile, fase di difficoltà. Purtroppo il limite di casa Napoli è anche l’aria poco vincente ed ambiziosa che si respira dalle parti di Castelvolturno, ma chissà che quest’anno non cambi qualcosa anche su quel fronte.
Il momento è d’oro. Troppo bello per esser vero. Ma alzate pure i veli della prudenza. E’ tutto splendidamente vero. E reale.